Le battaglie dell'Isonzo furono per certi versi molto simili a quelle combattute sul fronte occidentale: praticamente una guerra di trincea. Certamente non era intenzione del generale Cadorna prodigarsi in una guerra statica ma gli eventi ben presto portarono l'avanzata italiana ad una fase di stallo. Gli austro-ungarici infatti difendevano il territorio facente parte, a tutti gli effetti, dell'Impero Austro-Ungarico e pertanto scelsero una tattica conservativa e prettamente difensiva, aiutati in questo dal terreno stesso. Il comandante delle armate austro-ungariche, generale Boroevic improntò la sua stretegia unicamente sulla difesa del territorio dell'Impero. Notevoli furono anche gli sbagli e le incomprensioni sull'interpretazione di ordini e disposizioni dovute ad alcuni comandanti dell'esercito italiano, estremamente prudenti nell'avanzare, forse fin troppo come gli autriaci ebbero a dire. Questo favorì molto l'organizzazione ed il successivo apporto di rinforzi austro-ungarici giunti nel settore del Carso.

La prima battaglia dell'Isonzo (23 giugno - 7 luglio 1915) vide gli italiani in netta superiorità numerica rispetto agli austro-ungheresi, con Boroevic che riuscì a mettere insieme 100.000 uomini da contrapporre ai 200.000 schierati da Frugoni e dal Duca d'Aosta (IIa e IIIa Armata). Stesso discorso per il parco artiglierie. Ovviamente gli austro-ungarici erano asserragliati nelle fortezze naturali offerte dalla conformazione del territorio, che conoscevano molto bene mentre invece gli italiani erano alla loro prima esperienza di combattimento su una zona che si estendeva dalle montagne fino al mare. Dopo la consueta preparazione di artiglierie, gli italiani iniziarono l'attacco in stile risorgimentale, fotocopiando tutti gli errori già commessi durante l'anno precedente nei combattimenti sul fronte occidentale. L'attacco frontale al grido di "Avanti Savoia!" infatti non pagò dal punto di vista strategico e le perdite furono subito rilevanti. Artiglieria e truppe non erano ancora ben amalgamati nello svolgimento dei compiti e nel coordinamento delle azioni e chiaramente gli assalti si infransero contro i reticolati delle trincee austro-ungariche. Per favorire ulteriormente l'avanzata, il Comando Supremo aveva anche organizzato una manovra diversiva nella zona del Trentino ed nell'area di Gorizia. La manovra nel Trentino non era necessaria mentre gli attacchi contro la piazzaforte di Gorizia furono inconcludenti. In sostanza, gli austriaci riuscirono a respingere il primo assalto ed a tenere saldamente le posizioni sul Carso, Gorizia e dintorni ma in ogni caso, gli italiani misero a segno qualche punto riuscendo a metter piede sul Monte Nero e sul Colovrat nonchè nella conca di Plezzo, nel settore dell'Alto Isonzo.

Era stato ormai dato fuoco alle polveri e non passarono molti giorni prima della seconda offensiva lanciata dagli italiani che speravano in un risultato migliore dopo gli sforzi profusi durante le due settimane di intensa e feroce battaglia a cavallo tra giugno e luglio. Solo undici giorni dopo la fine della prima battaglia ecco che nuovamente gli italiani tentano di espugnare le difese austro-ungariche. 18 luglio - 3 agosto 1915: seconda battaglia dell'Isonzo e nuove perdite rilevanti da entrambe le parti ma con gli italiani che questa volta riuscirono ad ottenere dei vantaggi più significativi rispetto al primo assaggio. Sul Carso gli austro-ungarici dovettero temporaneamente sgombrare alcune trincee significative per la difesa, poi riguadagnate con ferocissimi corpo a corpo. E' chiaro che le trincee italiane ed austro-ungariche, distanti al massimo un centinaio di metri l'una dall'altra, passavano di mano molte volte in una giornata; si può quindi immaginare la specie di macelleria a cielo aperto e la durezza degli scontri senza scendere in particolari. Ancora una volta il Comando Supremo insistette con gli attacchi frontali e la scarsa coordinazione dell'artiglieria con i piani di attacco della fanteria. Da sottolineare che alle batterie italiane iniziavano a scarseggiare le munizioni e questo indusse Cadorna a sospendere gli attacchi. Il risultato finale comunque vide gli italiani in passivo rispetto agli sforzi profusi. Anche le posizioni acquisite intorno a Gorizia furono cedute nuovamente ai contrattacchi austro-ungarici. La staticità della situazione e la necessità di riorganizzare le brigate ed il parco artiglierie consigliò, come detto, una pausa.

Il Comando Supremo capì che senza l'artiglieria l'avanzata delle truppe non poteva sperare in un successo. Gli austro-ungarici difendevano il territorio da posizioni munite che erano state costantemente rafforzate. Le mitragliaci Schwarzlose occuparono una posizione di primo piano durante gli assalti, falciando i fanti italiani senza pietà. Gli abili mascheramenti che le nascondevano erano difficili da scovare e quasi impossibili da raggiungere per neutralizzarle. I reticolati ed i cavalli di Frisia assolsero ottimamente allo scopo ed i pur valorosi fanti italiani, difficilmente riuscirono a crearsi dei varchi tra i reticolati austro-ungarici. A nulla valsero i tentativi di neutralizzarli con i tubi bangalore o con le pinze tagliafili; le corazze Farina indossate dai coraggiosi che avevano il compito di tagliare i fili spinati erano troppo ingombranti. Gli scudi metallici non offrivano sufficiente protezione. C'erano ancora molte cose da mettere a punto per riuscire a fluidificare l'avanzata italiana. E così passarono due mesi e mezzo prima che sul fronte dell'Isonzo ritornasse a tuonare il cannone, per così dire anche perchè sul Carso il cannone tuonò ogni giorno. E proprio durante questi due mesi e mezzo di stasi, il Comando Supremo riuscì a trasferire gran parte delle artiglierie disponibili ed a piazzarle lungo il fronte dell'Isonzo.

Il 18 ottobre iniziò la terza grande offensiva italiana che aveva per obiettivo principale l'occupazione della città di Gorizia. Le forze disponibili erano però sparse lungo la sottile linea marcata dall'Isonzo, con attacchi contro le teste di ponte austro-ungariche di Tolmino e Plezzo e nel settore del Carso, precisamente contro il San Michele, monte dalle quattro cime - occupate dagli austro-ungarici - e protetto da estesi campi di reticolati che ne avvolgevano il perimetro in diversi ordini. Un ostacolo di tutto rispetto ma che doveva essere eliminato per spianare la via verso Gorizia. La battaglia infuriò anche sul Monte Sei Busi, dove invece le trincee delle due parti in lotta distavano, in qualche punto, pochi metri. Il fronte da Redipuglia a Peteano era infuocato. Gli austro-ungarici controllavano ogni movimento delle truppe italiane, vedevano tutto e potevano agire di conseguenza. D'altra parte non era difficile perchè occupavano le cime di tutte le alture. Anche durante questa battaglia le trincee e le cime continuavano a passare di mano in mano mentre le forze disponibili si assottigliavano giorno dopo giorno e con la situazione che continuava a rimanere statica: austro-ungarici in fiera difesa ed italiani impegnati in eroici "attacchi in salita". Il 3 di novembre gli attacchi cessarono e si passò ad un periodo di pausa molto breve.

In effetti il 10 novembre Cadorna ordinò l'ultimo sforzo offensivo per l'anno 1915. Era iniziata la quarta battaglia dell'Isonzo (10 novembre - 2 dicembre) che può essere considerata come un prolungamento della precedente e che interessò esclusivamente la zona del Carso fino a Gorizia. Austro-ungarici ed italiani continuarono a scannarsi sul Monte Sei Busi, teatro di epici scontri corpo a corpo durante i quali qualsiasi strumento offensivo era lecito: vanghette, baionette, pugnali, mazze ferrate, pietre; anche le unghie ed i denti diventavano armi in queste circostanze. Queste erano le lotte che si scatenavano nelle trincee, condite con opportuna dose di bombe a mano. Le somma delle perdite complessive per entrambe le parti si contava in centinaia di migliaia; gli austro-ungarici iniziavano a preoccuparsi dell'assotigliemento degli effettivi ma il sistema difensivo ancora reggeva l'urto dei fanti italiani che ancora una volta vedevano vanificati i loro sforzi. Nessuno degli obiettivi del Comando Supremo era stato raggiunto ed ormai la stagione avanzata consigliava la sospensione delle operazioni in grande stile anche perchè, considerate le perdite, entrambi gli schieramenti non potevano permettersi di continuare una lotta all'ultimo uomo. Non ne rimanevano poi molti disponibili.